L'uomo nostra seconda eucaristia
Don Renato Rosso
Edizioni Dehoniane Bologna (1983)
Effatà Editrice (2009)
Questo libro vuole essere un «taccuino di viaggio», dove l’Autore ha trascritto brani del vangelo letto con gli amici, testi della tradizione cristiana che provocano un confronto tra il nostro incontro con Gesù nell’eucaristia e il nostro incontro con lui nei poveri (che per i padri sono come «la seconda eucaristia»). Nel suo insieme, questa breve pubblicazione assume la fisionomia di una celebrazione, «la messa sull’uomo»: letture bibliche, appunti per la riflessione e il canone. È la festa dell’uomo. Il corpo e il sangue dell’uomo sono diventati il corpo e il sangue di Cristo e noi contempliamo questo mistero.
PREFAZIONE
Dal 1964 frequento gli zingari e dal 1972 vivo con loro. Nella mia adolescenza pensavo spesso ai lebbrosi, ai «morti vivi», e speravo di dedicare ad essi la mia vita. Mi resi poi conto che c'erano persone, nella periferia delle nostre città, che non avevano «cittadinanza», voglio dire non avevano il diritto di essere cittadini come gli altri, erano dei non amati, degli indesiderati e spesso rifiutati. Per essere cristiano dovevo essere in pace con tutti; per spezzare l'eucaristia con i fratelli dovevo prima andare a far pace con il fratello che aveva qualcosa contro di me.
Fu così che l'amicizia nata tra un gruppo di zingari e me in prima liceo fu destinata a crescere e decisi di vivere fra loro. Le difficoltà dei primi tempi, in ambiente certo carico di diffidenze e paure di «corpi estranei», non mi ha impedito di rimanere, dedicando interamente a questi miei fratelli il mio «randagio» servizio di prete.
Concretamente il mio feriale quotidiano è fatto di poche povere cose. Mi sposto da un accampamento all'altro con un carro da cavallo; non pesa molto: poco più di due quintali e in pianura lo si deve solo accompagnare. La sola fatica è in salita e quando si passa vicino alla gente che non può fare a meno di ridere e commentare. Sopra il carro ho una grossa tenda per ripararmi dalla pioggia e dalla neve.
Quando arrivo nell'accampamento, piazzo il carro e monto una piccola tenda; quest'ultima è una chiesetta: c'è l'eucaristia, la Bibbia e qualche cuscino, mentre la candela accesa d'inverno fa da riscaldamento. Spesso celebro la messa, di sera tardi, da solo, dopo essermi disposto in comunione profonda con tutti gli zingari del campo, mi sforzo di pregare cercando di copiare da Gesù.
Gesù, davanti al Padre, avrà detto: «Se tu Padre, aspetti che questi miei fratelli e sorelle ti chiedano perdono, ti lodino, ti ringrazino come conviene, chissà quanto devi aspettare! E poi non sono capaci. Allora, Padre, ti chiedo perdono io a nome loro, ti lodo per essi, ti ringrazio al posto loro...».
Così cerco di fare io sotto quella piccola tenda e cerco di dire: «Signore, chiedo perdono per me e per essi, per tutti i nostri sbagli tra le carovane (spesso li elenco), ti lodo e ti ringrazio al loro posto, ti offro la mia vita e la loro vita, a nome di quelli che non sanno di avere un Papà nei cieli che può perdonare e accogliere la loro vita carica di gioia e di sofferenza».
La mia presenza tra i nomadi ha assunto già i primi anni un carattere particolare. Mi ero proposto di stare con loro per pregare in un certo modo, ma anche per parlare di Dio e comunicare pure ad essi la speranza che il Signore ha acceso in me. In realtà, fin dall'inizio, ho dovuto dedicare la maggior parte del tempo in attività sociali, sanitarie, scolastiche, risolvendo insieme a loro i problemi di ogni giorno. Ho rivissuto e rivivo in continuità la parabola del samaritano.
Ero andato tra loro con la speranza di aiutarli a camminare verso Gerusalemme, e invece molto spesso ho dovuto caricarmeli sulle spalle e condurli all'albergo, sempre troppo vicino a Gerico. Avrò sbagliato strada? Non mi sembra, perché la carità a servizio dei poveri e dei malati è annuncio del vangelo. Ma facendo questo, ho imparato che l'annuncio del vangelo ai poveri non è mai a senso unico. Spesso sono i poveri che ci annunciano il vangelo: con la loro sofferenza, con la loro solidarietà, con la speranza che coltivano nel cuore nonostante le tante situazioni assurde che devono subire.
Per cui, piuttosto di annunciare cose che potrebbero sembrare estranee alla loro vita, si tratta, in fondo, di «rendere esplicito» quello che i miei amici zingari già vivono o cercano, anche se in modo ancora inconsapevole.
La mia presenza ha un unico riferimento: Gesù Cristo. Anch'essi lo sanno e hanno dimostrato di capirlo bene. Per loro io sono lì in accampamento unicamente in nome di Cristo, per una dimostrazione vivente e continua che anch'essi sono amati da quel Dio innamorato di tutti gli uomini, il quale, come dice Gesù nel vangelo, «fa sorgere il suo sole sopra i cattivi e sopra i buoni» (Mt 5,45) ed è benevolo anche «verso gli ingrati» (Lc 6,35).
Di una così grande misericordia ho parlato nelle pagine raccolte in questo volumetto che vuole essere il mio «taccuino di viaggio», dove ho trascritto brani del vangelo letto con gli amici, testi della tradizione cristiana che provocano a un confronto tra il nostro incontro con Gesù nell'eucaristia e il nostro incontro con lui nei poveri (che per i padri sono come «la seconda eucaristia»).
Nel suo insieme, questa breve pubblicazione assume la fisionomia di una celebrazione, «la messa sull'uomo»: letture bibliche, appunti per la riflessione e il canone. È la festa dell'uomo. Il corpo e il sangue dell'uomo è diventato il corpo e il sangue di Cristo e noi contempliamo questo mistero.
Renato Rosso