IL DIALOGO DEI MONACI
Capitolo X
IL COMANDO NUOVO pag. 154-171
Non sono venuto per i sani
«Caro Teofilo, come ben sai, nell’amore cristiano c’è una
dimensione radicalmente nuova, predicata da Gesù e specialmente
vissuta da Lui. Alcuni testi possono disporci a comprendere questo
nuovo comando. Quando Gesù disse che non era venuto per i sani, ma
per i malati, la seconda affermazione: “Non sono venuto per i
giusti ma per i peccatori” diventò più comprensibile. E a chi
gli chiese quante volte occorre perdonare, rispose che bisognava
perdonare sempre (settanta volte sette). Perdonare non vuole soltanto
dire perdonare un’offesa, ma continuare ad amare nonostante le
offese ricevute. Volendo descrivere l’amore cristiano, San Francesco
scrisse queste parole in una lettera a un confratello: E in
questo voglio conoscere se tu ami il Signore ed ami me suo e tuo servo,
se ti comporterai in questa maniera, e cioè: che non ci sia alcun
frate al mondo il quale, avendo peccato quanto è possibile
peccare, dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo
perdono, se egli lo chiede; e se non lo chiedesse, chiedi tu a
lui se vuole essere perdonato. E se, in seguito, mille volte peccasse
davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo: perchè è peccatore,
perchè è sbagliato dalla testa ai piedi. Proprio perchè è
peccatore ha bisogno di amore. Non devi amarlo nonostante sia
peccatore, ma proprio per quella ragione, perchè è tutto ferito
dagli sbagli e peccati fatti. Tu dirai che è una disgrazia ed è vero,
ma è anche una grande grazia che lo Spirito Santo ha posto vicino a te
per allenare il tuo cuore a diventare cristiano, perchè se ami
solo quelli che ti amano, questo non viene considerato, ma solo se
amerai chi non è capace a voler bene o non ti ama nel modo in cui ti
aspetti. Ti aspetti questo gesto e te ne arriva un altro, ti aspetti una
parola e ne arriva un’altra. In questo modo tu attirerai il
fratello al Signore; ed abbi sempre misericordia per tali fratelli.
Il primo impatto con questo testo ci può lasciare un momento
sconcertati. Francesco dice esattamente ciò che dice il Vangelo,
semplicenente con un linguaggio diverso e forse più vicino a noi. Se
uno ha peccato quanto è possibile peccare merita ancora il tuo
perdono. Se quindi uno ti ha offeso: ha parlato mille volte male di te,
ti ha diffamato dicendo il falso contro di te, buttandoti
nell’umiliazione e nella vergogna di fronte a tutti, se uno quindi ha
tentato mille e più volte di farti del male perchè ti ha
odiato e ha desiderato la tua morte o ha attentato alla tua vita
o ha fatto fallire tutti i tuoi progetti a causa di invidia e
gelosia, se sei cristiano devi continuare a perdonare questa
persona. E perdonare significa che devi continuare ad amarla».
«Ma Padre, se questo prossimo è tua moglie o tuo marito, che non ti
rispetta più, che ti ha tradito/a, che ha preferito un’altra persona a
te, che ha distrutto l’onore della tua famiglia e con i suoi vizi ne
ha provocato il fallimento economico e morale; e, inoltre, se a causa
sua hai perso i tuoi figli e poi ancora... se sei cristiano/a devi
continuare ad amare?». «Sì, se sei cristiano/a non hai
alternative, devi continuare ad amare. Francesco sottolinea
soltanto la ragione, già chiara in Gesù: “Devi amarlo/a proprio per
questo”. Proprio perchè è sbagliato dalla testa ai piedi, proprio
perchè è diventato criminale incallito, proprio per questo devi amarlo e
non per altre ragioni. Nemmeno perchè sei buono o puoi trovare
attenuanti nella malvagità di questo tuo prossimo: devi amarlo
perchè lui è malato. Dirò subito che amare non significa sempre
accarezzare o dire parole dolci (c’è sia il consiglio, sia la
punizione, ma solo perchè l’altro guarisca). Immagina una
madre con tre figli: uno sano, un altro malaticcio e un terzo gravemente
malato. Il terzo è a letto, ha dolori fortissimi con febbre e rischia
di morire a ogni istante. La madre ama tutti e tre i figli, ma il
secondo ha certo più bisogno di attenzione del primo e il terzo ha più
bisogno di cure e affetto di tutti e tre. La madre deve passare
lunghe ore seduta accanto al letto del terzo figlio malato.
Deve confortarlo e animarlo più di ogni altro. Se il primo
figlio è intelligente, non si sentirà escluso anche se vede sua madre
dedicare tanto tempo, cure, carezze, baci e affetto al fratello malato.
Perchè la madre deve ‘amarlo’ di più? Solo per una ragione: perchè è
malato. Fai ora un secondo passo, che anche un adolescente sveglio può capire. C’è una madre con tre figli: il primo è molto buono: è diligente a scuola, fa i lavori prima che la madre glieli comandi. Ogni mattina va in chiesa, aiuta gli altri, forse è anche in seminario: è un figlio proprio fortunato. C’è poi un secondo figlio. Questi non è nè un santo, nè un criminale. Di tanto in tanto fa le sue scappatelle. Non è proprio un bravo ragazzo, ma poi si recupera. E c’è il terzo figlio: un vero criminale. Comincia a ubriacarsi, poi il fumo, la droga pesante, amicizie sbagliate, prostituzione, poi rapine, omicidi, etc. Oggi è un giovane che tutti additano per parlarne male. Chi di questi tre figli ha più bisogno di amore da sua madre?». «Certo, tutti e tre hanno bisogno di essere amati, quello molto buono, quello buono per metà e quello criminale, ma se ce n’è uno che ha più bisogno degli altri di affetto, di attenzione, in una parola, di amore, questi è certamente il terzo». «E perchè il terzo figlio ha più bisogno di essere amato? Solo perchè è cattivo. Questa è la ragione sufficiente, non per il fatto di meritare più amore, ma per avere più bisogno di amore. Se questa madre vuole seguire le orme di Gesù, amerà più di tutti questo figlio e la ragione è solo una: è un cattivo, un malato, è come il figlio del Vangelo che pascola i porci, è la pecora perduta, la moneta smarrita. A poco a poco si spiega così il testo francescano: “Se questo tuo fratello peccherà mille volte davanti ai tuoi occhi, devi amarlo proprio per questo”. Perchè ha peccato? Sì, proprio per questo. Gesù l’ha detto chiaramente: “Se amate solo coloro che vi amano e fate del bene a coloro che vi fanno del bene... che merito ne avete? Anche i pagani (i non cristiani) sono capaci di far questo... ma voi amate i vostri nemici”, ossia coloro che non vi sanno amare o vi amano in modo sbagliato». «Per questo a Gesù – che riduce tutti i comandamenti a due: amare Dio e il prossimo – viene chiesto: “Ma chi è il prossimo che devo amare?”». «Nella domanda entra in gioco la comprensione della novità di Gesù e della sua predicazione. Per gli ebrei, infatti, non era così scontato chi fosse il prossimo da amare. Per quelli di stretta osservanza, il prossimo era solo chi era fedele alla Torà, a tutte le leggi – anche le più piccole – che scaturivano dalla Grande Legge di Mosè, mentre per gli altri il prossimo era costituito dagli ebrei, almeno dai circoncisi, non certamente dai nemici, che si dovevano invece combattere. Per Gesù, il vicino è ogni persona che io posso raggiungere e che mi può raggiungere. Alla domanda: “Chi è il mio prossimo?”, Gesù risponde parzialmente, in modo che possa capire anche un bambino, raccontando la parabola del buon samaritano, che in altre parole dice: “Se qualcuno fa un incidente e tu lo soccorri portandolo all’ospedale, ti comporti da prossimo, o meglio da buon prossimo”. Ma, in maniera piena, risponde quando è sul Calvario. Proprio là Gesù dice chi è il suo prossimo. Mentre lo inchiodano e preparano la sua morte, Gesù non solo non inveisce contro i crocifissori, ma li difende di fronte al Padre: “Padre, perdona loro perchè non sanno quello che fanno”. Gesù sta dando la vita per quei giovani che lo crocifiggono. Gesù li ama più di tutti, perchè sono coloro che su quel monte compiono l’azione più criminale di tutta la storia. Saranno additati per tutti i tempi come i peggiori: per questa ragione Gesù li ama e insegna a noi come e chi dobbiamo amare».
Ama Dio e il tuo prossimo «Padre, allora noi dobbiamo amare Dio nel nostro prossimo, che è il nostro vicino e proprio perchè è il più vicino a noi?». «Gesù arriva alla sintesi. Ad alcune grandi sintesi. Di tutte le disquisizioni teologiche ebraiche, Gesù giunge all’essenziale: “Chi vede me, vede il Padre”. Delle grandi e lunghe preghiere, Gesù propone il nocciolo: “Pregate così: Padre nostro...”. E tutta la morale, la Legge è ridotta alla sintesi: “Ama Dio e il tuo prossimo”. Chi è più prossimo a me? Più vicino a me di uno che mi pianta i chiodi nelle mani? Quell’uomo non è solo vicino a me, ma entra dentro di me, dentro la mia carne: questo è il mio prossimo più di ogni altro ed io debbo amarlo. Se uno mi diffama dicendo ogni sorta di falsità contro di me, non riesco neppure più a dormire, tanto sono turbato e scosso. Chi è più vicino a me di uno che non solo mi sta fisicamente vicino, ma è entrato nel profondo dei miei pensieri al punto da scuoterli e non lasciarmi più dormire? Questi non è solo vicino a me, ma dentro di me: ebbene, in questo momento è il più prossimo a me, che devo amare». «Padre, non c’è una contraddizione in termini nel dover amare?» «Nessuna religione ha il coraggio di chiederlo ai suoi fedeli, ma la religione cristiana sì. Questo è il comando nuovo di Gesù e da questo i cristiani si distingueranno dagli altri, dal modo di amare. “Da questo capiranno che siete miei discepoli”, dice infatti Gesù. Mentre ero in India, chiesi a un amico di gestire alcune scuolette e a un certo punto mi accorsi che per cinque anni aveva dato solo metà salario a un insegnante. Questi era stato minacciato: non doveva dirmi la verità, altrimenti avrebbe perso il lavoro. Io mi ero fidato di quella persona perchè era anche segretario in Parrocchia e quindi ben conosciuto dal parroco stesso. L’uomo che gestiva le scuole aveva un figlio solo, mentre il maestro derubato aveva sei figli e per cinque anni dovette limitarsi molte volte a mangiare una volta al giorno. Così lui e la moglie si ammalarono di tubercolosi: una vera e propria tragedia, consumata tra due battezzati. Appena appresa la notizia, mi sarei precipitato da quel direttore per stritolargli le ossa, se ne fossi stato capace, ma mi fermai, perchè non ero emozionalmente pronto ad affrontarlo. Quando venne il momento, parlai con lui di giustizia, di restituzione e altro ancora. Qualche tempo dopo mi chiesi: “Come devo amare questa persona?”. E la risposta fu: “Quando mi presenterò al giudizio finale, il Signore non mi chiederà quanto ho amato mia madre, mio fratello, gli zingari, tutte le persone che hanno contraccambiato la mia amicizia al cento per uno, ma quanto ho amato quel direttore ladro e criminale”. Sì, mi chiederà quanto gli ho voluto bene. Da quanto riesco ad amare chi più di ogni altro mi ha offeso (anche se indirettamente), posso mostrare al Signore quanto vale il mio amore per gli altri: da quanto riuscirò ad amare questo mio prossimo che è entrato così dentro di me, potrò io stesso capire se l’amore che uso nelle mie relazioni è oro, argento, ferro, terracotta o plastica». «Mi pare di risentire le parole: “Non sono venuto per i sani, ma per i malati”; “Non sono venuto per i buoni, ma per i cattivi”; “Ama il prossimo quanto devi amare Dio stesso”; “Se il tuo prossimo ha peccato settanta volte sette tu perdonalo e amalo”; “Se ami solo coloro che ti amano, che merito ne hai?”; “Da questo tipo di amore capiranno quanto siete miei discepoli”. E sembra impensabile che in una società cristiana con una predicazione così pura ci sia stato posto per guerre, violenza, vendette e prevaricazione contro questo nostro prossimo che avrebbe dovuto essere sempre oggetto di misericordia». «Ecco perchè Francesco d’Assisi scrisse: Se tuo fratello peccherà mille volte davanti ai tuoi occhi, devi amarlo proprio per questo.
Proprio perchè ha peccato, ha sbagliato ed è sbagliato dalla testa
ai piedi devi amarlo; proprio perchè ha offeso te, Gesù, la Chiesa, devi
amarlo; proprio perchè ha disonorato la creazione...».
«E se questo prossimo non solo ha fatto violenza e reso schiavo un
uomo, una donna, un bambino, ma adesso è diventato
organizzatore di schiavitù e crea una catena per moltiplicare
il crimine; se questo prossimo, oltre a consumare droghe e
quindi suicidarsi, le spaccia perchè siano in tanti a sbagliare, dovrei
amarlo? Se questo prossimo ha violentato un bambino innocente
che probabilmente porterà per tutta la vita le conseguenze di
queste azioni e se organizza aerei di quattrocento uomini per
fare turismo sessuale con bambini in Thailandia, nelle Filippine,
in India e da mille altre parti, dove la povertà delle vittime
crea un terreno fertile perchè tale peccato si moltiplichi, dovrei
ancora amare questo vicino? Ha venduto bambini per il
commercio dei loro organi e organizzato una catena tra
commercianti e ospedali dove i bambini rubati e venduti sono
considerati non più di un coniglio, un topo, una gallina. E dovrei
amarlo?». «Caro Teofilo, potresti dirmi: “Posso
arrivare a dimenticarlo, semmai con una grazia speciale a perdonarlo,
ma amarlo?”. Mi dirai che ad amarlo non ce la fai, vero? E perchè da
quest’ultima pagina ti sei sentito scuotere e invece, con molta
superficialità, hai letto nel Vangelo che Gesù è venuto non per
i giusti, ma per i peccatori? Perchè non hai strappato il
foglio su cui era scritto: “Se ami solo coloro che ti amano
che merito ne hai? Amate i vostri nemici”. Pensavi forse che
peccatori e nemici fossero un’entità astratta, semmai di disturbo,
persone non così corrette? No, i peccatori sono questi e possono essere
tuoi vicini di casa».
Amare i peccatori
«Il peccatore non è un birichino che merita un po’ di
comprensione. Se poi il peccatore non è solo un omicida, ma
ha cercato di uccidere te; se poi non è solo uno che qualche
volta tradisce la moglie, ma è entrato nella tua vita privata e ti
ha rubato la tua, considerandola sua, e l’ha fatto ripetute volte; se il
peccatore non è solo un maniaco, ma ha violentato il tuo bambino, allora capisco che tu ti senta turbato e non comprenda più il Vangelo tradotto da Francesco, un uomo molto simile a noi: Se tuo fratello peccherà mille volte davanti ai tuoi occhi … devi amarlo proprio per quello».
«Se almeno avesse detto ‘nonostante quello’, se avesse detto
‘nonostante tuo fratello sia peccatore, devi amarlo’, forse lo
capirei di più. Ma ha detto: Devi amarlo proprio perchè è peccatore».
«Sì, proprio per quella ragione tanto ripugnante (che nell’esempio ho
cercato di ‘portarti in casa’). Gesù non ci ha amati nonostante
fossimo peccatori, ma proprio perchè eravamo tali, perchè eravamo una
pecora persa, perchè lo inchiodavamo sulla croce. E se ti accorgi che
il peccatore è in casa tua, se chi commette i crimini che
ho chiamato per nome è tuo figlio, tuo padre, tua madre, tua sorella, è
il tuo compagno di scuola, di lavoro, dovresti perdonarlo e amarlo?».
«Dopo che ha dissipato tutti i miei beni, che mi ha diffamato di
fronte a tutti, senza lasciarmi il tempo materiale per riparare
il disonore e sapendo che sulla terra il mio nome resterà macchiato
per sempre... dovrei amarlo lo stesso? E proprio perchè ha
commesso quei crimini?» Teofilo era stupito. «Perchè,
allora, leggendo le beatitudini, non hai telefonato al Papa per chiedere
se era vero? E nel leggere: “Quando avranno detto ogni sorta di male
contro di te… rallegrati!”, perchè non hai strappato almeno
quella pagina? E dovresti pure rallegrarti? Allora sai chi è il
peccatore reale, quello fatto di corpo e anima che incontri tu, quello
che da bambino era bellissimo come tutti i bambini e adesso è
diventato un mostro? Sai chi è? È colui che non riesci ad
amare nonostante ti chiami cristiano, è colui che fatichi senza fine ad
amare. Teofilo, fermati un istante a pensare alle tue relazioni
familiari e sociali. Quali persone ami di più? Probabilmente
quelle che più ti vogliono bene, vero? E coloro che pensi non
ti amino? Li odi? Li sopporti? Cerchi di dimenticarli? Riesci a
perdonarli? Riesci ad amarli?». «Padre, da queste poche domande
ci rendiamo conto quanto siamo pagani, quanto siamo poco cristiani.
Che Gesù sia venuto a predicarci il comandamento nuovo o che non
sia venuto affatto, per la maggior parte di noi non cambia assolutamente
nulla. E invece, chi erano gli amici di Gesù? Dell’affetto verso i
suoi familiari, non una parola: non ce n’era bisogno. Gesù ama
gli apostoli e dal comportamento finale si può capire di che stoffa fossero e quanto sia stato difficile amare gente come Pietro, Giuda e quei due fratelli che, senza voler togliere nessun merito, erano più interessati a un posto come vicerè o primi ministri di un regno nuovo che non aveva nulla in comune con quello predicato dallo stesso Gesù Cristo». «Gesù ama dei peccatori: uomini e donne, peccatori pubblici e privati. Non li ama per le loro virtù, ma perchè sono peccatori. Per l’epoca una donna adultera o pluridivorziata o prostituta non merita nessuna considerazione. Esattori di imposte che schiacciano la testa dei poveri, ricchi che si sono guadagnati quei soldi sulle spalle della povera gente: uomini che non hanno nulla di ammirevole in questi peccati. Sono quindi dei peccatori e Gesù li ama e si occupa di loro proprio perchè sono peccatori. Io non ho nessun potere di convertirti, mi preme solo chiarire che il Vangelo non è uno dei tanti libri che riempiono le biblioteche, ma il più difficile di tutti i libri, il più pretenzioso. E che, tra i ‘fondatori di religione’, Gesù è il più disobbedito. Egli infatti ha preteso ciò che nessuno ha osato pretendere: chiedere di amare chi ‘non si può amare’».
«Padre, voi mi insegnate che forse l’uomo non può amare il
nemico con le sole forze umane, ma il cristiano non è fatto solo
di carne e ossa: è lui-più-Gesù-Cristo. Così il cristiano-Gesù può
vivere il comando nuovo: amare chi lo inchioda. Quando poi il santo
zelo accende in me la rabbia contro le ingiustizie, i
soprusi, le prevaricazioni, devo allora lottare, urlare e gridare non
solo contro il peccato, ma anche contro il peccatore, perchè il
peccato non sta nell’aria scollato dal mondo, ma è sempre frutto
dell’azione di un uomo. Può essere che debba manifestare contro
il peccato di mio fratello, può essere che lo debba denunciare
e chiedere che venga rinchiuso in carcere, se non è più capace
di vivere civilmente nella società. Ma come possono restare nello
stesso cuore umano, insieme all’amore, il furore, la rabbia contro
di lui, e la condanna, richiesta, pretesa e imposta? Posso essere
furioso contro il mio fratello, condannarlo e tuttavia amarlo con
lo stesso cuore?». «Gesù dice di sì, altrimenti dobbiamo
strappare tutto il Vangelo. Senza il comando nuovo, le altre
pagine del Vangelo perderebbero l’anima. Un giorno Gesù va al
Tempio, intreccia delle corde, ne fa delle fruste che usa contro i
mercanti e ribalta tutte le loro mercanzie con rabbia, con furore, con
grida. Eppure non possiamo pensare che Gesù abbia amato un poco meno
uno solo di loro. Non possiamo pensare che li abbia amati meno di
quei bambini che chiamava vicino a sè per benedirli. I bambini
avevano bisogno di abbracci e baci e Gesù glieli ha dati perchè
li amava. I venditori del Tempio avevano bisogno di frustate e
gliele ha date perchè li amava. Gesù voleva educare i mercanti,
i sacerdoti, i fedeli e usò quel linguaggio, ma il suo cuore di
amante non rimase scalfito.
Il cuore di Gesù, che ama in questo modo, è la nuova alleanza, il
nuovo testamento. Gesù è il santo dei santi non perchè è
stato crocifisso o è morto su quella croce. Noi due potremmo
essere flagellati, incoronati di spine e crocifissi in meno di una
giornata. È sufficiente un tribunale criminale che ci condanni,
il tempo necessario per trovare chiodi, martello e legno e in
meno di una giornata saremmo crocifissi anche noi. Gesù è Gesù
non perchè è stato crocifisso, ma perchè ha amato chi lo
crocifiggeva. Questo è il Nuovo Testamento». «Pare che
nella rivoluzione degli schiavi di Roma, guidati da Spartaco,
circa seimila di loro siano stati crocifissi lungo la via Appia e molti
libri se ne siano dimenticati, ma non di Gesù Cristo, che ha
addirittura diviso la storia in due parti, prima e dopo di Lui».
«Se credo a questo Gesù e al suo comandamento nuovo, potrò
capire che non è solo la sintesi di tutta la morale cristiana, ma che mi
fa luce su tutta la teologia, mostrandomi chi è Dio Padre, cioè un Dio
che ama sempre tutti, buoni e cattivi. Quando, nel profondo della mia
coscienza, troverò l’amarezza del peccato, non mi sentirò escluso da
questo Padre-Madre, ma abbracciato da Lui, incoraggiato a non
peccare più. E se dovessi rifare la stessa esperienza o se il vizio
mi avesse reso schiavo, saprei di certo che questo Dio continuerebbe ad
amarmi e ad amarmi di più, perchè sarei un malato grave. Che cosa
potrebbe aiutarmi di più a risorgere dal mio peccato? La minaccia di un
castigo o il caloroso abbraccio paterno-materno di Dio? Nel
Vangelo, quindi, c’è questa bomba atomica, che maneggiamo come fosse un
petardo di carnevale».
Non giudicare «Padre, com’è difficile il cammino per diventare cristiani!».
«Per allenare il cuore a questo arduo lavoro, possiamo tentare
di guardare il nostro prossimo senza giudizi di malvagità. Gesù
ci ha aiutati con un ordine che ci alleggerisce: “Non
giudicare” il tuo prossimo, perchè potrebbe essere innocente! Non
pensare mai che il tuo vicino sia un peccatore, perchè non è
dato a nessuno di noi leggere nella coscienza altrui. Anche
il prete che confessa deve giudicare le azioni del penitente come
azioni storiche e umane. Di fronte ad esse deve porre consigli,
espiazioni, penitenze o castighi, ma non potrà mai entrare nella
coscienza di un solo penitente per affermare che questi ha
commesso un peccato. In duemila anni di storia non possiamo dare il
giudizio di un solo peccato veniale nei confronti di una
persona. Nella coscienza umana solo Dio può leggere e
pronunciare il giudizio finale. Strettamente parlando, non abbiamo
nemmeno il diritto di giudicare in modo definitivo la nostra stessa
coscienza. Un prete che ha confessato tutti i giorni per
quarant’anni non potrà mai sapere se ha perdonato cento, dieci, uno o
nessun peccato. Solo a Dio appartiene questo giudizio. Pur
trovandomi di fronte a uno sterminatore di popoli che ha
massacrato milioni di persone, non saprò mai se abbia commesso
dei peccati gravi o veniali o nulla di tutto questo. Le schizofrenie
gravi o parziali o qualunque tipo di perturbamento psicotico
anche leggero possono essere causa di una coscienza ferita e,
quindi, non tanto responsabile come appare ai nostri occhi.
Ciò che Dio permette attraverso il comportamento criminoso del
prossimo potrebbe essere semplicemente un mezzo per allenare il nostro
cuore pagano a perdonare e a diventare cristiano. Un giornale
riportava un fatto terribile: “Madre lega i cinque figli e li butta nel
fiume”. Accanto a me un uomo, che si era avvicinato per vedere la
pagina, scoppiò in un grido istintivo: “Che criminale!”, al che io
risposi: “Chissà quante ferite, quanto dolore e disperazione per
arrivare a buttare i propri cinque figli nel fiume! Povera Madre!”. E,
senza guardarmi attorno, misi il giornale per terra e
m’inginocchiai di fronte alla foto di quella madre annegata». «Perciò, Padre, la persona considerata in apparenza criminale potrebbe essere innocente».
«Se lavassimo lo sguardo con questa riflessione, la nostra visione
della vita potrebbe cambiare radicalmente: indipendentemente dalle
loro azioni, coloro che ci passano accanto potrebbero essere dei santi.
Così, la fatica di amare un prossimo malvagio diventa persino ragionevole, in quanto possiamo trovarci di fronte non a un criminale, ma a un malato. Se ciò che ho cercato di ripetere, ritradotto dal Vangelo, fosse il pensiero di un filosofo, di un teologo o di uno spiritualista, o ancora di un moralista o del fondatore di una grande religione, ci si potrebbe rifiutare di crederlo, ma l’ha detto Gesù Cristo. E la testimonianza che è tutto vero è data dalla sua stessa Resurrezione, con cui Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, ha sottoscritto che il comando nuovo di Gesù agli uomini è vero e che è veramente comando di Dio e Parola di Dio, anzi è la Parola di Dio che è diventata carne, è diventata Gesù Cristo, il quale ha predicato e vissuto tutto questo».
Misericordia «Ma che significa, Padre, avere misericordia?».
«Avere misericordia dell’altro, caro Teofilo, non vuol dire solo
perdonarlo, ma anche avere pietà di lui, curare le sue
ferite, caricarselo a spalle e aiutarlo a guarire, affinché sia
capace di riprendere il cammino. E, dopo aver sentito dal
Vangelo che dobbiamo amare il prossimo, quello che è vicino a
noi, ci occorre fare un ulteriore passo: prendere in consideazione non
solo il vicino, ma anche il “prossimo” lontano da noi geograficamente,
quello che é venuto, per così dire, ad abitare proprio vicino a noi.
I mezzi di comunicazione hanno portato in casa nostra il mondo
lontano, il mondo che prima non si poteva vedere. Quel mondo
chiamato “terzo o quarto mondo” lo raggiungevano solo i missionari
zelanti per far conoscere il Vangelo in terre lontane a costo di disagi,
persecuzioni e morte. Raggiungevano ancora quel mondo gli eserciti dei
politici per colonizzare, rubare e schiavizzare». «Oggi le
dinamiche sono diverse, ma il Sud del mondo é entrato in casa nostra
e tutti noi, senza eccezioni, abbiamo assistito alla
devastazione e a un vero e proprio genocidio – indiretto ma globale
– frutto d’ingiustizia, di sfruttamento o, per lo meno, di abbandono».
«Invece d’impegnarsi nella solidarietà internazionale, l’uomo del
Nord del mondo preferisce voltare pagina, chiudere gli occhi,
dimenticare, per poter continuare a vivere il più tranquillo
possibile. La crisi economica iniziata nel 2008 (è sempre quella a cui ci si riferisce negli ultimi anni) non è sufficiente ad alleggerire la nostra coscienza. Papa Francesco chiede che si agisca per alleviare le sofferenze dei poveri, per ridurre la disparità tra ricchi e poveri e per sormontare tutti quei modelli di esclusione che sono causa di tanti conflittti e violenze.
Non neghiamo la solidarietà degli ultimi decenni, con cui tutta una
serie di interventi da parte di governi e istituzioni religiose o a
sfondo filantropico hanno fatto registrare una riduzione
significativa dei tassi d’indigenza nel mondo, passando così da
un tasso del 44% a quello attuale (2015-16) del 12,7%. Tutto questo
fa crescere in noi un poco di speranza. Riconosciamo però che, se
ci fosse solo più un bambino che muore di fame, sarebbe ancora
troppo e, con vergogna, dobbiamo accettare la triste realtà che ancora
800 milioni di bambini muoiono a causa della denutrizione; che
metà della popolazione mondiale non dispone di alcun patrimonio e due
miliardi di persone vivono con meno di 2 dollari al giorno ma che, tra
queste ultime, in Paesi come il Bangladesh, gran parte della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno per famiglia».
«Già il Concilio Vaticano II (G.S. 69) ricordava che “I beni creati
devono essere partecipati equamente a tutti, secondo la regola della
giustizia, inseparabile dalla carità”. In ogni caso ci siamo
abituati a sentire di tutto, ma anche a voltare pagina in
fretta, prima che la coscienza venga disturbata. Dopo quanto
abbiamo detto, Padre, il rischio è di non riuscire nemmeno a
chiedere perdono: se non intravediamo strade nuove, piste di speranza
e concrete prospettive di conversione, tanto vale restare come
siamo, nella contraddizione di un nostro mondo inguaribile. Ma io
voglio gridare che il nostro mondo è guaribile e noi non siamo i
primi a curarne le ferite». «Una strada nuova è stata aperta
duemila anni fa, la strada della consegna, e oggi stesso non mancano
testimoni di questa rivoluzione di amore. Nessuno potrà sostenere che
davanti a migliaia di bambini che ogni giorno muoiono di fame non
ci sia niente da fare e che l’unica soluzione sia rimanere
muti o semplicemente spaventati e angosciati. Massimiliano Kolbe,
come ti ho già detto, non si accontentò di commuoversi. Alla
fine del luglio 1941 nel blocco 14 di Auschwitz mancò un
prigioniero. Per ogni fuggitivo venivano condannati venti
internati. Quella volta ne furono scelti solo dieci. Quando il
Lagerfuhrer li scelse per mandarli nel bunker a morire di fame, una di
loro si lasciò sfuggire un gemito soffocato: “Mia moglie e i miei
bambini: non li vedrò mai più!”. Massimiliano Kolbe, numero 16670
degli internati, lo udì e si offrì al suo posto. Si avviava a
concludere così la sua Eucarestia, adempiendo alla parola di Gesù: “Fatelo
anche voi in memoria di me!”. Giovanni Paolo Il lo ha detto nell’omelia
della canonizzazione: “Padre Massimiliano non è morto, ma ha consegnato
la vita per il fratello”».
«E di fronte alle scelte sbagliate, alle politiche di oppressione, alla logica di guerra resteremo impotenti e inoffensivi?».
«Gandhi non è rimasto inattivo. Piccolo fragile uomo di fronte al
potente esercito di un grande impero: che cosa poteva fare?
Egli consegna se stesso. Studia, riflette, prega, entra nella politica
del suo paese, entra ed esce dalla prigione più e più volte.
La sua grande arma è combattere la violenza con la
non-violenza, ma una non-violenza attiva. Egli lavora come ogni
indù e insegna a fare altrettanto. Vive le cose semplici e i
momenti straordinari con la stessa dignità e semplicità. Non
accetta il compromesso. Cerca la coerenza della pace, non la
violenza della guerra. A tutti i costi, con tutte le forze,
rimettendoci in salute, con prolungati digiuni, perfino col voto di
castità, consegnando tutte le forze della sua grande anima per la causa della pace. E non si può certo dire che non abbia ottenuto niente». «Di fronte alle difficoltà di dire “Padre nostro”, resteremo con il fiato mozzo e basta?».
«Un profeta del nostro tempo, Raoul Follereau, ha smesso di aver paura
della morte, si è appassionato alla vita degli altri, consegnando tutto
il suo tempo, la sua intelligenza, le sue energie per vincere non solo
la lebbra della carne, ma anche e più ancora la lebbra dello
spirito. Ha fatto oltre quaranta volte il giro del mondo, ma non
da turista o come gli astronauti, guardandolo dall’alto. È
passato di villaggio in villaggio per stare vicino a chi moriva, per
incoraggiare a vivere, facendosi tutto a tutti. E, quel che è
più, migliaia lo hanno seguito, stimolati dal suo esempio». «Di
fronte al ladro che è in ciascuno di noi, di fronte alle
ingiustizie della nostra società nei confronti dei più poveri resteremo
solo emozionati?». «Marcello Candia vende la fabbrica e va a
costruire un ospedale alla foce del Rio delle Amazzoni. Consegna
denaro, tempo e salute per la salute dei fratelli: forse uno
dei tanti gesti di semplice riparazione? Qualcuno gli obietta:
“Così si rischia di fare dell’assistenzialismo, mentre occorre la
rivoluzione”. “È vero – risponde Marcello – penso che abbiate
ragione; ma io non la so fare e intanto che voi vi preparate, io
faccio questo”. La Didaché dice che quando uno fa tutto ciò che sa
di bene, questo è il bene. Madre Teresa di Calcutta affianca i
moribondi perché non siano soli nel momento in cui non valgono
più nulla per nessuno. E a chi, di fronte alla povertà e alla miseria
di Calcutta, le fa notare: “Madre, questo che voi fate, per
quanto grande, non è che una goccia nel mare”, risponde: “Sì,
questa è la nostra goccia”. E non è certo la sola». «Allora,
Padre, di fronte alle minoranze etniche marginalizzate, di fronte agli
schiavi di tutto il mondo, non si rischia semplicemente di dire che
questi sono problemi troppo grandi, che ci superano?». «Martin
Luther King non ha accettato passivamente il razzismo. Ha lottato
con tutte le forze contro di esso, dicendo: “Un giorno i
miei figli neri siederanno a tavola con i bianchi, nella pace”.
Lottò con tanta energia da spaventare i razzisti, che uccisero lui, ma
non il suo ideale». «E di fronte al potere delle multinazionali
che dilapidano il terzo mondo, di fronte ai diritti umani più
elementari ogni giorno conculcati, di fronte alla
disappropriazione di casa, campi e della stessa sopravvivenza di
intere famiglie resteremo a guardare?». «Margherita, una giovane
donna del Nord-est brasiliano, informata da un mio amico che la sua
vita era finita se non smetteva immediatamente la sua lotta in
difesa della terra, disse: “Dalla lotta non esco: meglio morire
lottando che morire e veder morire di fame”. Due ore dopo veniva
uccisa. Al funerale il corteo di contadini si trasformò in una
manifestazione nazionale in difesa dei diritti dei lavoratori; nella
foresta di scritte uno striscione di cento metri diceva: “Avete
sradicato una margherita, ma ne sono già nate altre mille”. La lotta
contro l’ingiustizia cresce ogni giorno. Una statistica del
settembre 1986 dice che in Brasile in quell’anno moriva una persona ogni
36 ore in difesa dei diritti umani. E quelli che venivano uccisi erano
sindacalisti, leaders politici, religiosi e preti, contadini,
etc. All’inizio del 2016 é stato dato un allarme via internet: in Africa
c’é bisogno di 5 mila volontari per combattere l’ebola, che –
si sa – mette ad altissimo rischio la vita. E in meno di 10 giorni
oltre 3 mila giovani hanno dato la loro disoponibilità a partire».
«Sono migliaia i giovani professionisti e non professionisti che si
affiancano ai fratelli nella lotta per recuperare i loro
diritti fondamentali: lottano e rischiano insieme, facendosi
maestri e insieme discepoli gli uni degli altri per un mondo migliore».
«Certo, caro Teofilo, esistono decine di persone che fanno
esattamente ciò che hanno fatto Kolbe, Gandhi, Follereau, Marcello
Candia, Luther King, Margherita. In modo diverso vivono le stesse
cose, consegnandosi ogni giorno per arrivare a consegnare tutto.
Perché non dev’essere possibile anche per noi?».
Speranza
«È dunque chiaro, Padre, che non dobbiamo cedere al pessimismo.
Se oggi Caino cammina ancora sofferente e disperato nel nostro
mondo, se si continua a costruire la torre di Babele e il
diluvio continua a inondare la terra, possiamo comunque cogliere
segnali di speranza». «Sulla fronte di Caino c’é un segno di
misericordia e di speranza; e gli uomini cercano di aggregarsi
nonostante le differenze di lingua, ideologia e religione: sotto le
nuvole appare anche oggi l’arcobaleno, segno di pace. E ancora, i
faraoni d’Egitto non sono morti, né i loro aguzzini, né il popolo
oppresso: in mezzo a tutto ciò c’è una storia di liberazione. Mosè e
Aronne continuano a gridare e stimolare il popolo affinché non si
perda d’animo nel deserto, ma lotti per la terra promessa. Pure noi
cantiamo l’Alleluia come Maria, ogni volta che attraversiamo il Mar
Rosso con i nostri fratelli; ma anche quando Dio ci dà la forza di
attraversare un fiume o un ruscello, celebriamo la vita. Così
tutti dovremmo portare il vino quando andiamo a nozze a Cana o in
un altro paese, perché la festa sia più piena. E uccidere il vitello
grasso, quando un fratello o un figlio torna a casa e non
importa se gli altri si scandalizzano. Spezziamo pure noi il
vaso di alabastro pieno di profumo che costa una fortuna, e
versiamolo sulla testa del fratello, anche se gli altri non
capiscono e si scandalizzano e parlano sempre dei poveri, pur di
arricchirsi. Ma se passiamo vicino a 5 mila uomini affamati con le mogli e i loro bambini, non andiamo oltre senza dar loro da mangiare. Diamo loro il pane, se l’abbiamo, altrimenti andiamo a comprarlo; e se siamo senza soldi, facciamo dei miracoli; ma non dobbiamo passare oltre come un levita o un fariseo, altrimenti come faremo a dire: “Padre nostro che sei nei cieli”? O come potremo, il giorno dopo, parlare a questi fratelli dell’Eucarestia?».
L’ultima scusa
«Padre, per anni ho cercato una scusa, una qualche motivazione, per
dirmi che andava bene anche così, e non l’ho trovata. Avrei
voluto collocare quella risposta da qualche parte, per tranquillizzare
la coscienza mia e dei miei amici, ma non l’ho trovata. Nessuna riga in
tutto il Vangelo, negli Atti degli Apostoli, nelle Lettere e
nemmeno nell’Apocalisse, che mi potesse dar ragione. Volevo
trovare una parola che mi dicesse all’incirca così: “Anche se mangio tre
volte al giorno e ho una certa sicurezza, mentre altri mangiano tre
volte la settimana, in fondo non è poi così grave”: è questa la parola
che ho cercato e non ho trovato». «Nelle parole di Gesù, caro
Teofilo, non ci sono attenuanti: l’ingiustizia, la
discriminazione, tutto questo è peccato. E adesso voglio dire
una parola che brucia la pelle: mi sono lasciato scandalizzare
da televisori a colori in case religiose a pochi metri da chi vive la
miseria. Mi sono lasciato scandalizzare da una casa con 164 stanze,
tutte libere, tutte vuote, accostate alla strada dove dormivano
dei bambini sul marciapiede, coperti da giornali. Mi sono
lasciato scandalizzare da queste cose, pensando che io avrei
fatto diversamente, avrei fatto meglio; invece io, come molti di noi,
non ce l’ho fatta. E per di più, in molte comunità ho sentito un
grande desiderio di essere più povere, senza riuscirci. Mi dicevano di
voler essere più coerenti col Vangelo, di voler essere dei
testimoni viventi della Parola, di voler dividere tutto con chi
soffriva più di loro, senza riuscirci». «Padre, ho sentito
anch’io il grido d’impotenza: “Perché faccio il male che non voglio e
perché non faccio il bene che vorrei?”». «Tutti questi amici, con
molta buona volontà, non ci sono riusciti (eccetto pochi), come io non
ci sono riuscito. Non ce l’ho fatta. Mi costa confessare
pubblicamente questo peccato, come mi costerebbe dire pubblicamente che ho ucciso, che ho rubato, che sono stato adultero o che ho bestemmiato Dio. Con la stessa vergogna e umiltà dico: non ci sono riuscito. Ma il fatto che altri non ci siano riusciti, che io non ci sia riuscito, non giustifica nessuno a dire: “Allora, anch’io posso continuare come prima”.
Se Dio ti chiede di più di quello che ti ha chiesto ieri, ti dà anche
la sua forza per dire di sì e camminare in avanti. Non
chiudere il cuore a Dio, se lui stesso cerca di aprirtelo. E
se Dio, in questo momento, ti dà una luce che non ha dato a
nessuno? E se Dio, in questo momento, ti chiede ciò che non ha
chiesto a nessuno? E se Dio, in questo momento, ti dà una
forza che non ha mai dato a nessuno? Guai a non rispondere! Guai a
tornare indietro! Resteresti eternamente triste».
Fraternamente
«Padre, non sono stati gli Apostoli con la comunità, superando
l’elemosina e l’assistenzialismo, a fare la rivoluzione, una
grande rivoluzione sociale cristiana?». «Con la prima comunità
cristiana, gli Apostoli vollero fare ciò che aveva comandato il Signore
Gesù, in quella notte, prima della morte, quando aveva spezzato il pane e
si era consegnato, per i fratelli, nelle mani del Padre. Gesù infatti
aveva chiesto ai suoi di fare altrettanto. Respirando la genuinità e la
freschezza di quel bambino appena nato che era la nuova storia, si
riunirono per celebrare l’Eucarestia. Ma l’Eucarestia non fu per
essi ripetere un rito: con un cuor solo e un’anima sola nessuno
reputò proprio ciò che gli era appartenuto, ma ogni cosa fu tra loro comune. Con grande forza gli Apostoli resero testimonianza della Resurrezione del Signore Gesù».
«E nessuno tra loro fu bisognoso, perché quanti avevano
posseduto campi o case li avevano venduti deponendo l’importo
ricavato ai piedi degli Apostoli; poi era stato distribuito a
ciascuno secondo il bisogno». «Sì, e spezzarono il pane come
aveva detto Gesù. Mentre uscirono dalla riunione, sentirono forgiare
i chiodi nella bottega del fabbro e inchiodare legni incrociati.
Sentirono ancora i ruggiti dei leoni nei sotterranei dell’arena e
il rumore di una pioggia di pietre che si scagliava contro di
essi. Ma, in mezzo a tutto questo, contemplarono i Cieli aperti sopra di loro e il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio. Queste parole ci ripetono che non abbiamo ancora pagato fino al sangue, ma che ogni giorno dobbiamo fare la nostra piccola, grande consegna, per entrare a far parte dei “beati” del Vangelo: perdere tutto per il Regno, al fine di non avere più nulla da perdere nel momento in cui Dio ci chiederà tutto».
«Padre, dopo queste riflessioni forse domani non dovrei più venire a
Messa e a far la Comunione. O forse andrò un’ora prima, per
prepararmi con un atto penitenziale vero. Forse domani mattina, allo
spezzar del pane, riconoscerò i suoi occhi e deciderò di consegnare
tutto e di consegnarmi, anche se non cambierà nulla nel mondo».
«In ogni caso, la Comunione ti attende. Gesù ha preso il pane e il vino e
ha detto: “Questa è la mia vita che io consegno per voi: fate anche
voi questo”. Se non ci consegneremo, tutte le volte che
celebriamo l’Eucarestia faremo solo una drammatizzazione piena di
grazia, pur bella e ricca di genio, ma non faremo ciò che lui
ci ha comandato: la nostra consegna»[6] ----------------------------------
[6] Cfr. R.Rosso (1987), La consegna, EDB.
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