IL DIALOGO DEI MONACI
Eucarestia
Nota dell' autore
Mentre ringrazio per i preziosi commenti e approfondimenti al Dialogo dei Monaci, voglio ricordare che nel capitolo precedente (I dubbi di Teofilo), presentato come stimolo e non come risultato teologico su Satana e Inferno
- argomento molto complesso e generalmente trattato con superficialità -
ho preferito usare un linguaggio d'urto, perché chi prende una
posizione su questo argomento usi motivazioni serie e coerenza. Per
esempio: "San Tommaso d'Aquino e Tertulliano sostengono che i Beati (e
quindi Dio) in Cielo si rallegrano nel vedere i dannati contorcersi nel
fuoco dell'Inferno". Ebbene, se uno non riesce ad accettare e
sottoscrivere questa affermazione significa che crede di credere
all'Inferno, ma di fatto lo ha già rimosso, San Tommaso è coerente. Dio è
pace e quindi felicità assoluta e non può rattristarsi davanti ai
dannati.
In
quel capitolo io non ho sostenuto nessuna tesi, ho solo voluto
stimolare chi è pigro e crede a qualunque affermazione senza
approfondire. Ho voluto discutere con chi crede che l'Inferno sia una
passeggiata in pinacoteca: passando in rassegna i quadri che riportano
sulle tele i dannati che si contorcono nelle fiamme, questo visitatore
di tanto in tanto fa un sospiro prolungato e pensa che l'Inferno sia
questo.
Ringrazio
ancora chi vuole continuare a stare un poco in compagnia di questo
Dialogo dei Monaci. Mi sono preoccupato non di fare un'opera d'arte, ma
di non far perdere tempo a nessuno.
don Renato
20 agosto 2016
Capitolo VII
EUCARESTIA
pag. 108-121
Questo è il mio corpo
«Padre, potete dirmi una parola su quella realtà che avrebbe
bisogno di biblioteche intere, non dico per essere spiegata,
ma semplicemente abbozzata con i contorni del grande mistero che porta
con sé? Ho bisogno di un po’ di luce per vivere con maggior verità la
celebrazione dell’Eucarestia».
«Se non ti bastano il Vangelo e San Paolo, non ho altro, figlio».
«Padre, ripetetemi ciò che dice la Bibbia, che trasmette la
Tradizione, o che ha maturato la riflessione teologica».
«Caro Teofilo, allora
aggiungo una riflessione su alcuni aspetti dell’Eucarestia,
che troppo spesso è diventata il rito più solenne; il
rito che nella sua espressione liturgica abbraccia il contenuto
dell’intera fede cristiana; il rito più bello; un rito
comandato da
Gesù stesso e per questo della massima autorità; il rito nel quale la
Chiesa intera colloca la sua preghiera più profonda e genuina nella
preghiera del Cristo, un rito, però, che spesso, da parte
nostra, rischia di essere solo un rito.
Ecco le sacre parole del
Cristo: “Prendete, questo è il mio corpo e il mio sangue che io
consegno per voi. Fate questo in memoria di
me”. Gesù ci ha chiesto di fare come Lui. Certo, abbiamo
preso anche noi il pane e il vino tante volte, abbiamo preparato
l’altare,
collocato il calice, la patena, i fiori. Ci siamo preoccupati di
icone, quadri, affreschi, statue, marmi e legni scolpiti. Abbiamo
pure
preparato cattedrali per celebrare questo rito, questo mistero,
ma troppo spesso abbiamo assistito a un teatro sacro, certo
pieno di
grazia, di stimoli alla conversione, ma l’Eucarestia di Gesù è
un grido che va ben oltre. “Fate questo in memoria di me” non si può
ridurre a prendere del pane e del vino e dire quelle stesse
parole come se fossero magiche. “Fate anche voi questo” è il comando per
fare quello che anche Lui ha fatto. Gesù ha preso la sua vita tra le
mani, l’ha consegnata e invita noi a prendere il nostro
corpo, il
nostro sangue e consegnarlo, proprio come Lui, nelle mani del
Padre e dei fratelli.[3]
Lasciami ancora aggiungere, caro Teofilo, che
Gesù non ha paura
di scuotere la nostra fede e, se ci lascia perplessi l’atteggiamento di
Gesù stesso nel lasciarci il segno del pane e del vino, assai
più
restiamo scandalizzati di fronte al mistero dell’altra
Eucarestia: l’uomo, corpo e sangue di Cristo. È questa
l’Eucarestia più
compromettente per Gesù stesso e la più sconcertante per noi.
Al capitolo 25,31-46, Matteo ci presenta uno dei più
rivoluzionari
discorsi di Gesù. Nel giudizio finale, alla fine dei tempi, il
Signore dirà ai buoni: “Venite, benedetti dal Padre mio e possedete il
regno
preparato per voi già dall’inizio del mondo. Infatti avevo fame e mi
avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere.
Ero
forestiero e mi avete alloggiato. Ero nudo e mi avete vestito. Ero in
carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i buoni
risponderanno:
“Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato
da mangiare, o quando hai avuto sete e ti abbiamo dato da
bere?
Quando ancora ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo alloggiato, o
quando nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto
ammalato o in carcere e siamo venuti da te?”. Ed ecco la risposta
del Signore: “In verità vi dico che, tutte le volte in cui
avete fatto
queste cose a uno di questi fratelli poveri, l’avete fatto a me”.
Sì, è quello il momento in cui Gesù ha proteso le mani su tutti i
poveri del mondo, sui malati, sui peccatori (feriti dalle loro
azioni) pronunciando le parole di consacrazione: questo è il mio
corpo, questo è il mio sangue; tutto quello che farete loro fatelo in
memoria
di me. (Perché tutto quello che avete fatto loro lo avete fatto a
me). Per questo ogni volta che apriamo un giornale e vediamo
le
immagini di chi ha vinto e di chi è stato sconfitto, di chi ha costruito
e di chi ha distrutto, della vittima e del killer, in quel
momento ci
troviamo di fronte ad una serie di icone dai colori e dalle espressioni
più diverse, che però riproducono lo stesso volto: quello di
Gesù
Cristo. In quei volti spesso cogliamo rabbia, gioia, disperazione o i
segni della bontà e del crimine, ma ci è troppo difficile o almeno non
siamo abituati a cogliere la vera presenza del volto di Dio”.
Quand’ero
piccolo mi dicevano che, se facevo il buono, l’angelo
custode e Gesù stesso stavano in me e mi proteggevano, se invece
facevo il male, Gesù se ne andava via ed entrava in me il diavolo con
le corna e la coda. Diventato adulto, dopo aver letto con più
attenzione la Bibbia, mi sono accorto che, se faccio il bene, Gesù è
in me e quando faccio il male Gesù, anzi la Trinità rimane in
me. Non c’è azione criminale che possa buttar via dal mio cuore
Gesù
stesso. E fino a quando il respiro rimarrà in me ci rimarrà pure Lui. Se
compio dei crimini gravi, il Gesù che è in me sarà un Gesù
incatenato, inchiodato, che grida: “No! Non puoi fare quell’azione o
coltivare nella tua mente pensieri che possono portarti alla violenza,
alla pigrizia di fare il bene, all’impurità, ai tradimenti, a
omicidi,
furti, adulteri. No! Non puoi opprimere gli altri e compiere
ogni sorta di ingiustizia solo per arricchire, per ottenere
potere, forza,
etc.!”. Ecco, Gesù è in me e nessun crimine potrà metterlo via dal
profondo di me stesso, anche se lo volessi espressamente. Con
l’Incarnazione Lui è diventato una sola cosa con noi.
Quando facevo l’adorazione di fronte all’Eucarestia esposta nella
chiesa, sapevo di essere alla presenza di Dio, ma quando
dovevo viaggiare con i mezzi pubblici non mi era difficile
l’adorazione, avendo sempre qualcuno davanti a me, almeno l’autista del
pullman.
Non avevo bisogno di domandarmi se chi stava di fronte a me era un santo
o uno che aveva appena bestemmiato. Mi era sufficiente sapere
che un uomo o una donna erano di fronte a me ed ero certo di essere alla
presenza della Trinità. Sapevo che il corpo e il sangue di Gesù
erano di fronte a me e potevo continuare ad adorare. Non importava se
era un Gesù sorridente, o insanguinato: era comunque Lui. Posso
pensare a un’ostia che mi cade per terra, nel fango o nel
letame. Potrei essere impossibilitato dal mangiare quel pezzo di
pane
consacrato tanto è diventato ripugnante, ma fino a quando una parte di
pane rimane pane benedetto, posso inginocchiarmi di fronte a
quel frammento di Eucarestia». [4]
«Padre, mi avete riscaldato il cuore. Adesso vado a fare l’adorazione nella cappella».
Il giorno seguente Teofilo, con molta serenità, ma ancora con una
domanda, si recò dal Padre e gli disse:
«La scorsa settimana è
venuto a trovarmi quel mio amico luterano ed è venuto per incontrarmi
dopo tanto tempo, ma anche per pregare
con noi come abbiamo fatto. Prima di lasciare la montagna mi fece
alcune domande sull’Eucarestia, ma io sono rimasto molto confuso
nel tentare di dare alcune risposte. So che c’è un divario
molto grande nel leggere i segni del pane e del vino tra le Chiese
Protestanti
e quella Cattolica. Come riavvicinare questa distanza?».
«Potremmo forse aiutarci in questo modo: Gesù è di fronte al pane
e al vino utilizzato per la celebrazione e noi possiamo
pensarLo mentre usa questa parafrasi: “Io sono il Verbo, la
Parola che si è
incarnata. Anche questo pane e vino sono segni della mia presenza,
quindi sono i segni della mia Parola. Leggetemi, ascoltatemi,
mangiatemi: nelle lingue semitiche il verbo ‘mangiare’
significa anche leggere, quindi masticare il pane sacro e leggere
il segno di quel pane stesso e ancora leggere la Bibbia
sacra e mangiarla, masticarla, meditarla sono espressioni molto simili
per dire la stessa realtà. In molte chiese, specialmente in
oriente, si usa mettere due
tabernacoli, generalmente uguali: uno con il pane da mangiare,
da ‘leggere’ e l’altro con la Bibbia da leggere, da ‘mangiare’.
I due verbi – ‘Leggere’ e ‘Mangiare’ – ci mettono in profonda
comunione con il Cristo. E le Chiese, se lo vogliono, possono
riconoscersi molto più sorelle. Comunque, Teofilo, devi sapere che
l’Ecumenismo non è in primo luogo una riflessione teologica
più corretta, ma è un atto di amore tra le Chiese e quindi
un Dono particolare dello Spirito Santo. E per diventare un tutt’uno
ut unum sint, non occorrerà che una Chiesa diventi
un’altra Chiesa. Ma il
giorno in cui le Diverse Chiese cristiane diranno le une alle altre:
“Vi riconosciamo Chiesa di Gesù Cristo, Chiesa che conserva la
sua presenza, in cammino e alla ricerca, cantando insieme il
Padre nostro”, quel giorno potrà essere festa di Unità.
Dopo
questo passo dovremo avanzare ancora un poco e in un sincero
dialogo interreligioso abbracciare tutti i fedeli delle
diverse religioni, che pur non riconoscendo Gesù Cristo sono amate da
Lui e animate dallo stesso Spirito Santo e infine pregheremo per
ottenere il
dono della fraternità universale, non solo con ogni fedele di
una qualche denominazione religiosa, ma con ogni parte di
umanità,
anche se atea e irriconoscente in quanto siamo un unico corpo».
«Avendo parlato di dialogo interreligioso ed essendo spesso
interpellati dai nostri fratelli musulmani e dai nostri fratelli
maggiori, gli ebrei, su un’accusa a cui mi trovo confuso nel
rispondere, infatti ci dicono che non siamo monoteisti in quanto
la nostra riflessione
teologica parla di tre Dei, cosa si può rispondere?».
«Di fronte
al mistero di Dio, qualunque linguaggio teologico è inadeguato:
possiamo dire che sia solo un tentativo di risposta.
Il linguaggio e la filosofia adottati per parlare della Trinità
non sono certamente così chiari. Il Padre, il Figlio e lo Spirito
Santo vengono infatti descritti come tre Persone distinte e poi,
giustamente, si afferma che sono un Dio solo. Ed è comprensibile
che possa trarre conclusioni diverse chi non è abituato alla
filosofia greca o alla teologia cattolica. Si usa infatti un
linguaggio analogico, legato alla nostra esperienza nell’ambito
della creazione e del finito per descrivere Dio, increato e
infinito.
Riguardo al dialogo interreligioso, invece, mi farei
aiutare da un teologo che parlò di Dio come “non essere”. Sebbene
l’espressione possa scontrarsi con la prima affermazione biblica
di Dio come “Colui che è”, tale concetto vuole farci prostrare in
umile adorazione davanti a Dio: quando lo pensiamo o descriviamo
lo facciamo sempre con categorie legate al nostro mondo sensibile e
finito poco adatto a parlare dell’Infinito e Increato. Semmai
Teofilo ci ritorniamo su domani».
Il prefazio della Gloria
Il giorno dopo Teofilo andò a leggere nella bacheca il
promemoria
delle attività giornaliere e si stupì che non ci fosse nessun
accenno all’incontro previsto, semplicemente registrò un tempo più lungo
per
l’Eucarestia. Al momento del Prefazio, infatti, lo starez pregò
così:
Noi ti ringraziamo, Padre per i tuoi doni. Ti ringraziamo per la
tua paternità. Da sempre tuo Figlio è nel tuo cuore. Con la creazione
hai
iniziato a preparare il suo corpo. Hai accompagnato, attraverso le
infinite esplosioni, la materia informe dai nuclei degli atomi
alle
galassie senza numero, ordinando ogni cosa fino a rendere visibile
la bellezza. E, come l’ombra dice pur lontanamente
qualcosa dell’oggetto che rappresenta, così la creazione ha
iniziato a dire
qualcosa della tua bellezza. Intanto organizzavi molecole e
cellule per far sì che un giorno, diventando umanità, potesse guardare
verso
di Te, e contemplare, anche se nell’ombra, qualcosa di Te.
Quando
le cellule disposte in umanità sono state capaci di
accoglierti, hai mandato in esse il tuo Spirito perché
potessero diventare il corpo e il sangue del tuo Figlio. Un popolo, il
popolo di Israele cominciò, con la tua luce, a sentire di essere
non solo un popolo, ma anche il figlio che poteva dialogare
con Te. Tu gli parlavi ed egli ti rispondeva. Col fuoco e con
l’ombra, mostravi a Lui qualcosa della tua Gloria. Questo figlio ti
chiedeva benedizioni e tu lo esaudivi. Provvedevi cibo, figli e
ricchezze. Quando si dimenticava di Te, lo richiamavi perché non
perdesse l’occasione di essere felice con la tua amicizia. Quando si
allontanava da Te con la
pigrizia di fare il bene, lo riprendevi per accordargli nuovamente
il perdono. Per esserti riconoscente, ti offriva allora frutti del campo
e
animali, bruciandoli: privandosi di essi, sperava di raggiungere
il tuo cuore dicendoti grazie o chiedendoti perdono.
Se nel cuore di questo figlio trovavi uno spazio più puro e capace
di capirti, dicevi di gradire altri sacrifici e cioè cuori puri,
umili e santi. Spesso ti supplicava: “Parlami, Padre, che il
tuo servo ti ascolta”, ma per lui, ancora tanto bambino, era
molto faticoso capire le tue parole, così diverse da quelle che
era capace d’intendere. Poi, nella pienezza dei tempi, quando
l’albero
dell’umanità fu in grado di dare frutti maturi, hai realizzato
il tuo
sogno di salvezza. Da sempre gli uomini ti domandavano con
insistenza: “Salvaci dai nemici, dalla schiavitù e dalle deportazioni.
Salvaci dalle malattie. Salvaci dalle calamità naturali:
terremoti, incendi, inondazioni. Salvaci da ogni forma di sofferenza.
Salvaci da
ogni male”. E tu, Signore, rispondevi a queste grida umane, ma
volevi donare molto di più di quanto tuo figlio sapeva
chiedere:
volevi salvarlo dalla morte. O comunque desideravi che sapesse
di questo dono eterno che avevi già progettato per lui e gli altri
figli.
Dopo aver inviato Patriarchi, Profeti e Santi a parlare della
salvezza, si è fatta spazio tra il tuo popolo la speranza che
sarebbe venuto qualche Santo, un Messia a salvare il popolo da tutte
quelle fatiche. E Tu, Signore, avevi già suggerito ad Abramo di
consegnare
il figlio suo pensando di poterlo riavere vivo anche dopo la morte. E ai
figli dei Patriarchi avevi appunto rivelato te come Dio di Abramo,
di Isacco e di Giacobbe, quindi Dio dei vivi e non dei morti,
e a Giobbe pure avevi dato una luce sufficiente per poter dire in
mezzo
al suo dolore: “Io so che un giorno, anche dopo la morte, con questo mio
corpo vedrò il Signore”. E, ancora, avevi dato il dono di
una
fede straordinaria a una madre con sette figli, i Maccabei, i
quali poterono testimoniare di credere nella Resurrezione al
punto di
lasciarsi uccidere tutti pur di rimanere fedeli al loro Dio. In
ogni caso, tutto ciò rimaneva una speranza, ma anche questi
testimoni
erano morti, lasciando dietro di sé il silenzio che segue ogni mortale.
E Tu non hai voluto continuare a ripetere parole di speranza, ma
mandare una parola nuova, anzi “la Parola” e questa Parola
è diventata un bambino, poi un uomo cresciuto sullo stesso
albero dell’umanità, lo stesso albero che ha prodotto ogni altro
uomo e donna. In quest’uomo, Gesù, Tu, Padre hai occupato tutti
gli spazi del corpo e dell’anima al punto che Egli può
esprimersi dicendo:
“Chi vede me vede il Padre”. In Gesù tutto è divino. La gente
lo
incontra, pur non sapendo che è come incontrasse Dio. Quando gli amici
lo ascoltano, ascoltano veramente parole di Dio. Se i malati
vogliono chiedere a Dio la guarigione, vanno da Lui. Se
qualcuno vuole chiedere a Dio che resusciti una persona cara, va da
Gesù. Se qualcuno si sente peccatore e vuole chiedere perdono a Dio,
va da
Lui: così chi incontra Lui incontra Dio stesso.
Non è vero che, vedendolo straordinario, i suoi conterranei
l’abbiano divinizzato ma, poiché il Padre l’aveva riempito del
suo Spirito, l’hanno semplicemente riconosciuto, specialmente il mattino
di Pasqua, dopo la Resurrezione. Qualcuno teme che la materia del
corpo di Gesù venga chiamata Dio e quindi l’unicità di Dio,
il monoteismo ebraico o islamico vengano compromessi.
Per accompagnarci a piccoli passi, pensiamo alle molecole che
compongono il pane e il vino: rimangono le stesse anche dopo
la consacrazione, anche se ospitano la Tua presenza viva e vera. Così
gli atomi, le molecole e le cellule che hanno composto il corpo
di
Gesù, nel momento in cui è morto sono diventati come ogni altra
parte della materia. Se gli uomini avessero divinizzato la materia del
corpo di Cristo, avrebbero continuato ad adorarlo anche da morto e
invece lo hanno seppellito.
Solo
con la Resurrezione, quando quella materia ha riaccolto la
tua presenza, o Dio – e tu, Padre, sei tornato ad occupare tutti
gli spazi di quella materia, anche se in un modo totalmente
nuovo – abbiamo nuovamente contemplato la tua Gloria, o Dio, cioè
la tua
Gloria nel corpo del Figlio, quindi, Signore, in Gesù è il luogo dove la
tua divinità è più visibile, per quanto lo possa essere in un corpo
umano. E se tu, o Dio, sei presente nelle parti più segrete
della materia che si esprime in sola energia e, pertanto, non sei
presente
nel pane spezzato o nel calice del Signore più di quanto lo
sia in
qualunque altro luogo, noi abbiamo però scelto il segno che ci hai
suggerito per celebrare, in esso, la tua presenza. Nel pane spezzato
non adoriamo il gusto del pane, il colore o il profumo del vino, né la
visibilità della materia in quanto tale – ciò che i teologi
chiamano
accidenti – ma la presenza di Dio in quel luogo privilegiato.
Così tu, Dio Padre, sei presente in tutto il Figlio – che siamo noi,
uniti a Gesù risorto – e ci dai la possibilità di celebrare
la tua presenza divina, la tua bellezza e la tua gloria nel
Gesù Cristo stesso, che ci anticipa fin d’ora quello che saremo
anche noi. Per questo mistero di salvezza, noi, fatti voce di ogni
creatura, uniti agli Angeli e ai Santi, proclamiamo la tua gloria:
Santo, Santo, il Signore
Dio dell’universo. I cieli e la terra sono pieni della tua
gloria, Osanna nell’alto dei Cieli. Benedetto il Signore Gesù
che, ripieno di Spirito Santo, porta lo stesso Dio in mezzo a noi.
Osanna nei Cieli Santi e qui sulla terra».
L’Eucarestia del fratello
«Caro Teofilo, annotai sul mio diario anche questa esperienza, che ti potrebbe suggerire ancora qualcosa sull’Eucarestia.
Era il 26 novembre: nella stazione di Zagabria si stava caldi e non
era un problema passarvi la notte. Non ero molto stanco
perché avevo dormito in treno. Aprii il breviario per la
preghiera di Compieta. Mi ero seduto accanto a uno zingaro del
Wukomerec che, essendosi ubriacato forse più del solito, non era
riuscito a rientrare ed era là, accasciato su se stesso con la
testa bassa. Lo conoscevo
solo di vista. Lui mi guardò, borbottò qualcosa e tornò a
dormire. Non avevo ancora celebrato Messa. Ero senza pane e
senza vino.
Avevo solo del tè in un termos.
C’erano tanti uomini e
donne in quel grande salone. Molti erano visibilmente chiusi nella
propria disperazione, non guardavano in faccia gli altri e non
volevano essere guardati. Avevo l’Eucarestia esposta davanti a me,
nel corpo e sangue di tutti quei fratelli e sorelle. Potevo
fare adorazione, mi mancava però la “celebrazione” dell’Eucarestia
stessa. Sedetti di fronte allo zingaro. Mi raccolsi,
cercando di fare silenzio dentro di me e, da ultimo, pregai
con la “Compieta”, la preghiera della sera. Era giovedì, salmo 15.
Il Signore è mia parte di eredità e mio calice, nelle tue mani è la
mia vita: continuavo a guardare quello zingaro davanti a me. Il mio Signore era là, era la mia eredità, e il mio calice era pronto.
Per me la sorte è caduta in luoghi deliziosi, la mia eredità è
magnifica: non c’era luogo migliore di quello. Mi era
toccato in sorte il Signore stesso nella presenza del mio
fratello, di fronte al
quale facevo adorazione.
Benedico il Signore che mi ha dato consiglio, anche di notte il mio cuore mi istruisce: e pensavo a quella stessa notte.
Io pongo sempre innanzi a me il Signore, sta alla mia destra, non posso vacillare: il Signore era proprio posto davanti a me, alla mia destra, e io mi sentivo sicuro.
Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra:
quella sera mi indicò con più forza il sentiero della vita. Ed
era la gioia della sua presenza viva e vera in quell’uomo davanti a
me.
Conclusi le preghiere della sera. Ormai era tardi, iniziai
così la Messa davanti a quello zingaro, anziché davanti al pane azzimo
e al vino. Feci le letture: il primo capitolo della Genesi,
alcuni versetti della prima lettera ai Corinti e il capitolo 25 di
Matteo e riflettei per
alcuni minuti, poi proseguii con l’Offertorio:
Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo, dalla tua bontà
abbiamo ricevuto questo dono, è un corpo umano. Questo è tra i più belli
e grandi dei tuoi doni. Egli è frutto della terra, della gioia e della
sofferenza, e in primo luogo del tuo amore. Lo presentiamo a
te perché diventi per noi ciò che è già per te. Diventi per noi
comunione di salvezza e ciascuno di noi sappia riconoscerlo.
Benedetto nei
secoli il Signore.
Mi rivolsi poi a quell’assemblea muta, che non si era accorta di ciò
che facevo e gridai col cuore:
Pregate, fratelli e sorelle, perché il mio e vostro sacrificio sia gradito a Dio Padre onnipotente.
Tacquero. Si intese solo il rumore di qualche bottiglia.
Alcuni entrarono, altri uscirono, ma io raccolsi entro di me la
risposta:
Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio
vivo e santo per il bene nostro e di tutta la sua santa chiesa,
la chiesa di tutti gli uomini. Il Signore sia con voi.
E con il tuo spirito.
In alto i nostri cuori.
Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore nostro Dio.
È cosa buona e giusta.
Era veramente cosa buona e giusta. Raccolsi tutte le mie forze e recitai la mia preghiera di lode e di ringraziamento:
Grazie, Padre, per tutto ciò che è attorno a noi, per l’assoluto
che sei tu e per il limite che siamo noi. O Padre, siamo il tuo confine,
là
dove tu finisci e ricominci il canto della tua esistenza,
della tua grandezza e della tua bellezza. E quando noi abbiamo
interrotto il canto della libertà, tu, o Padre, non ci hai lasciato
nel silenzio della disperazione e dell’inferno, ma hai mandato a
noi Gesù Cristo, il quale ci ha riproposto il canto che tu
stesso ci avevi insegnato. Questo stesso Gesù prese l’umanità fra
le mani e benedisse quella carne che aveva consacrato dicendo:
“Ogni volta che farete qualcosa anche al più piccolo dei miei fratelli,
l’avete fatto a me”; poi pose un
bambino in mezzo e ripeté: “Ogni volta che accogliete uno di questi
piccoli, voi accogliete me”.
Così, Padre, abbiamo riconosciuto
la tua gloria sul volto di ciascuno di loro, poiché Gesù la
rese particolarmente visibile nella
sua persona di Figlio, per questo i tuoi figli inneggiarono il
canto della liberazione ai quali ci uniamo per gridare: “Santo,
santo, santo il Signore Dio dell’universo, i cieli e la terra
sono pieni della tua
gloria. Osanna nei cieli e sulla terra. Benedetto colui che viene
nel nome del Signore. Osanna nei cieli e sulla terra”.
Proseguii con il canone. Stesi le mani in avanti e dissi: Padre veramente
santo e fonte di ogni santità, santifica questo dono, mandando il tuo Spirito perché diventi per noi il corpo e il sangue di
Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore.
Certo, lo era già corpo e sangue di Cristo, ma io avevo sempre
più bisogno che lo diventasse per me, per me e per gli
altri. Per questo bisognava ancora pregare, consacrare e
benedire. E proseguii con la preghiera di “consacrazione”:
Un
giorno Gesù prese un bambino, lo pose in mezzo e disse:
“Tutto quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli
l’avete fatto a me”.
Sostai in adorazione e continuai:
Mentre Gesù stava
seduto sul monte degli ulivi, parlò del compimento finale e del
giudizio di Dio e disse: “Ho avuto fame e mi
avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero
forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e
mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. In verità
vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di
questi miei
fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Non ero capace di sollevare quell’uomo con le mani, lo feci col cuore e proseguii:
Mistero della fede. Annunciamo la tua morte, Signore, che
continua in questi fratelli. Proclamiamo la tua Resurrezione, che
ha riscattato definitivamente ciascuno, nell’attesa della tua
venuta.
Ormai, la cattedrale in cui mi trovavo era diventata silenziosa ed io continuai a celebrare.
Celebrando il memoriale della morte e Resurrezione di tuo Figlio, morto
per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo,
nell’attesa della sua venuta nella gloria, ti offriamo questo
sacrificio vivo e santo per ringraziarti. Guarda con amore e riconosci
nella tua
chiesa universale e in questa piccola chiesa nella stazione di Zagabria
la vittima pura, santa, immacolata, corpo santo dell’eterna salvezza.
Ricordati, Padre, della tua chiesa diffusa su tutta la terra,
rendila
perfetta nell’amore in unione al nostro Papa, al Vescovo, ai preti e a
tutto il mondo che tu hai redento. Ricordati dei nostri fratelli
defunti:
i poveri e i ricchi, i mistici e gli indemoniati, ammettili a godere
la luce del tuo volto. E di noi tutti abbi misericordia. Donaci
di aver
parte alla vita eterna, insieme a Maria, la madre di Gesù, gli apostoli,
i santi e tutti gli uomini di buona e di cattiva volontà,
che in ogni
tempo ti furono graditi e in Gesù Cristo tuo Figlio canteremo la
tua gloria. Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te Dio Padre
onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo ogni onore e gloria per tutti i secoli
dei secoli. Amen.
Qualcuno si era messo a gridare, ma non mi aveva disturbato ed era entrato così in maniera più viva nella nostra Eucarestia:
Obbedienti al comando del Salvatore e formati al suo divino
insegnamento, osiamo dire, con la bocca a terra, osiamo con le
labbra impure, osiamo con il cuore carico di peccato, sperando che
nessuno si vergogni di averci per fratelli, poiché non si è
vergognato Gesù,
osiamo dire: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo
nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo così in
terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano, rimetti a noi i nostri
debiti come li rimettiamo ai nostri debitori. Non c’indurre in
tentazione, ma
liberaci dal male. Liberaci, Signore, da tutti i mali, concedi benigno
la pace ai nostri giorni e con l’aiuto della tua misericordia
saremo
sempre liberi dal peccato e sicuri da ogni paura, nell’attesa
che si
compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore, Gesù Cristo.
Il coro era sempre più forte: Tuo è il regno, tua la potenza e la
gloria nei secoli.
Signore Gesù Cristo, che hai detto ai
tuoi apostoli: vi lascio la pace, vi do la mia pace, non guardare
ai nostri peccati, ma alla fede della tua chiesa. Sì, guarda alla fede
della tua chiesa. La tua chiesa è fedele, perché in essa ci sei tu,
Cristo, che sei fedele. La tua chiesa è
bella perché in essa ci sei tu, che sei bello. La tua chiesa è
credibile, perché in essa ci sei tu che sei credibile. La tua chiesa è
santa perché
ci sei tu che sei santo. Guarda dunque alla bontà di questa chiesa e
dona unità e pace, tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.
Guardai tutti, uno per uno, e: La pace del Signore sia sempre con voi. E con il tuo spirito.
Ho cercato di risistemare un uomo che era cascato sul fianco in
una posizione che doveva stancarlo, anziché riposarlo,
perché potesse avere ancora un poco di “pace” anche lui. Forse si
spaventò e lanciò un urlo. Non compresi ciò che disse. È probabile che
abbia
pensato a un tentativo di furto. Tornai a posto e continuai davanti al
mio zingaro così crocifisso e abbandonato come un agnello sgozzato:
Beati gli invitati del Signore; ecco Gesù, l’Agnello di Dio che toglie i
peccati del mondo. O Signore, tu adesso dormi e sei ubriaco, come
posso fare comunione con te, la comunione con la vittima offerta, la
comunione con il santo sacrificio dell’altare?
Ho preso il termos del tè, mi sono avvicinato allo zingaro, l’ho
svegliato a fatica per chiedergli se voleva del tè caldo. Non rifiutò.
Mi sembrò contento più per l’attenzione che per il tè stesso. Ne diedi a
un altro vicino e bevvi quello che era rimasto. Avevo fatto anche
“comunione”. Canticchiai la preghiera di Francesco: Dove c’è odio ch’io porti l’amore.
Preghiera dopo la “comunione”
Signore, ora mi sento in comunione con tutti i fratelli e le sorelle
del mondo. Ora credo che tu sei dentro di me e, per lo stesso
dono di
questa fede, abbraccio tutti i cattivi come me e i buoni, i
ricchi e i
poveri, gli inseriti e gli emarginati, i lavoratori e i disoccupati,
coloro che soffrono, che muoiono, che cantano. Abbracciando te, o
Cristo,
abbraccio gli omicidi, coloro che cercano di sopprimersi, i drogati, i
missionari, le prostitute, le missionarie, le mamme, i papà,
gli
omosessuali, i santi, i ladri, gli apostoli, i ricettatori.
Abbraccio il
loro corpo e il loro sangue in questa smisurata comunione che
mi concedi. Amen».
Il pane e il vino
«Teofilo, da questi pochi appunti nasce una filosofia della vita e
un’antropologia nuova. Ne nasce un grande impegno: amerai
il Signore Dio tuo con tutto il cuore. In te e nel fratello troverai il
cuore di Dio e, contemplando nel silenzio il Dio degli uomini,
il Dio invisibile, vedrai il vero volto dell’uomo. Per tutto
questo non è sufficiente la preghiera sul treno, alla stazione,
passando nella strada
e attendendo negli uffici. Bisogna sostare a lungo nella
propria stanza, nel segreto. Ogni giorno devo piegarmi, di
fronte a quel
pezzo di pane spezzato in segno della sua presenza, per aiutare il mio
cuore a contemplare, nella gratuità del tempo, il Creatore della storia.
Devo celebrare l’Eucarestia, offrire, chiedere, ringraziare,
lodare, cantare le preghiere della chiesa da solo o con la comunità,
altrimenti
finirò per non riconoscere più questo Cristo di strada, di mondo, di
fango. Se non c’è l’adorazione nel silenzio, la preghiera, la
contemplazione nel deserto davanti all’altare della mia chiesa, Cristo
diventerà sempre più un’idea, un pensiero, un fantasma e basta. Se
guarderò sempre e solo alla terra finirò per credere soltanto in essa».
----------------------------------
[3]
Cfr. Rosso R. (2010), La consegna, EDB.
[4]
Cfr. Rosso R. L’uomo, nostra seconda Eucarestia, EDB.